LA DIFESA DEI CONFINI ORIENTALI
IL COSIDDETTO PIANO "DE
COURTEN" E LA DIFESA DEI CONFINI ORIENTALI
Sergio Nesi
Chi era l'ammiraglio
di Squadra Raffaele De Courten è inutile spiegarlo. Per questa vicenda
interessa solo il De Courten Ministro della Marina nel governo Bonomi del
Regno d’Italia, al Sud, nel periodo 1944-45.
Cosa era "il Piano
De Courten" è invece alquanto difficile da spiegare tutto perché
fu così chiamato da personaggi del Nord (e più precisamente
della Marina della RSI) un progetto nato al Sud.
In breve, si trattava
di studiare un piano di sbarco in Venezia Giulia ed in Istria di reparti
del Sud in accordo con la Marina della RSI e con la X Flottiglia MAS in
particolare.
Come al Nord si sia
venuti a conoscenza di questo piano e chi ne abbia portato i contenuti
attraverso le linee del fronte è ancora tutto da scoprire. Di certo
è che a quel piano di sbarco fu immediatamente abbinato il nome
di De Courten e che i messaggi inviati alla Marina della RSI erano indubbiamente
di De Courten.
Da qui è nato
un equivoco che chiarirò in seguito, ritenendo necessario procedere
per argomenti omogenei.
a) Lo "sbarco" visto dal Nord
Il comandante M.O.V.M.
Junio Valerio Borghese, nel riferire sui rapporti con le Autorità
del Sud, ha elencato le persone che avevano preso contatto con lui durante
i 20 mesi di vita della RSI e della X Flottiglia MAS: il prof. Baccarini
- il maggiore medico della R. Marina Potzolu - il tenente medico R. Esercito
Cino Boccazzi - il t.v.r.m. Marino Zanardi - il Capitano g.n.r.m. R. Marina
M.O.V.M. Antonio Marceglia - l' ing. Giorgis. Per ognuno di essi ha narrato
gli scopi della loro missione, nessuno dei quali, però, era relativo
ad uno sbarco da proteggere. De Courten raccomandava solo che la X Flottiglia
MAS e la Marina della R.S.I. si opponessero alle armate comuniste di Tito
in difesa dei confini orientali, raccomandazione inutile, in quanto quello
che era possibile fare era già stato fatto in maniera autonoma dall'amm.
Sparzani e dal com.te Borghese.
"I presidi possibili
erano stati installati in pieno territorio controllato dall'amministrazione
tedesca (ma in realtà austriaca) dell'"Adriatische Kustenland"
come ho già scritto a suo tempo (v. "Decima flottiglia nostra..."
Ed. Mursia 1986).
I reparti della X erano
stanziati:
-A Trieste il Btg. "San Giusto"
al comando del c.c. Ezio Chicca, con comandante in 2a il T.V. Aldo Congedo
proveniente da Bordeaux. Era un battaglione su tre compagnie più
la compagnia comando. Ricevette le insegne di combattimento, dono delle
donne di Trieste, nella chiesa di San Giusto nel corso di una solenne cerimonia,
Madrina Ida De Vecchi, valorosa patriota triestina. Fra i presenti, il
figlio di Nazario Sauro.
-A Cherso, isola del Quarnaro vicino a
Fiume, la compagnia "Adriatica", al comando del t.v. Giannelli
con 150 marò.
A Fiume la compagnia "D'Annunzio"
al comando del s.t.v. Francesco Vigiak. Distaccamenti erano a Laurana,
Lussingrande e Lussinpiccolo. Era composta da 130 marò.
-A Pola la compagnia "Nazario Sauro",
al comando del c.c. Baccarini e del t.v. Aldo Scopigno. Era composta dai
marò del "San Marco" rimasto a Pola dopo che il deposito
del reggimento era confluito nella 3a Divisione fanteria "San Marco".
Era composto da circa 300 marò.
-A Pola la base dei sommergibili C.B.
e C.M. al comando del t.v. Giangrossi e (verso la fine) del t.v. De Siervo.
-A Brioni 80 marò della base Est
dei Mezzi d'assalto, al comando del t.v. Nesi.
-A Portorose la scuola Sommozzatori del
"gamma" al comando del ten. medico Moscatelli.
-A Trieste il com.te Lenzi, che avrebbe
dovuto coordinare i movimenti di sbarco del Sud del "San Marco",
proveniente da sole navi italiane, sbarco progettato da De Courten,
proteggendolo con il Gruppo d'artiglieria "Colleoni" della Divisione
"Decima" e con altri reparti della medesima Divisione".
Così scrivevo
nel 1986 sulla base di ricordi personali.
A quel tempo, io ero
a conoscenza soltanto del fatto che un bel giorno avrei forse visto spuntare
all'orizzonte "Un fil di fumo" e che avrei dovuto cooperare a
tenere sgombra la costa da eventuali resistenze slave. E mi chiedevo: "perché
non anche tedesche ?" - E mi chiedevo ancora: "perché
il com.te Borghese mi ha personalmente ordinato, nel caso che me lo avessero
chiesto, di offrire qualsiasi aiuto anche agli alpini della Brigata partigiana
"Osoppo"'? - Avevo la netta sensazione di essere una pedina di
un gioco più grande di quanto potessi supporre, in cui tante altre
pedine - all’insaputa per ora l'una delle altre - avrebbero potuto e dovuto
riunirsi ad un ordine preciso ed in un preciso momento
Così ho continuato
a scrivere nel 1986:
"Borghese, per
potere realizzare il "piano" di De Courten, aveva mandato Lenzi
a Trieste (era il capitano di corvetta Aldo Lenzi dei Mezzi d'assalto di
superficie n.d.r.). Ma, per andare a Trieste in territorio occupato e controllato
dai tedeschi, bisognava avere un piano operativo di copertura credibile.
Fu quindi istituito ufficialmente il Comando dei Mezzi d'assalto dell'Alto
Adriatico, da cui dipendevano il Gruppo dei C.B. di Pola, il Gruppo dei
"barchini" di Brioni e la Scuola sommozzatori di Portorose. Ma
si trattava di pochissimi uomini. Il Comando era in un appartamento di
via S. Caterina in Trieste. Serviva di copertura. Serviva soprattutto per
dare a Lenzi la possibilità di sondare con molta attenzione l'ambiente;
di prendere contatto con le personalità di Trieste, con i gruppi
di patrioti istriani ed italiani, con altri gruppi anche slavi di chiara
tendenza antititina (tra cui un forte raggruppamento serbo guidato da un
pope); per sapere quale sarebbe stata la loro reazione al momento del ritiro
delle truppe tedesche, qualora fosse avvenuto uno sbarco di forze italiane
del Sud appoggiato da unità della R. Marina, al fine di impedire
che il vuoto creato dai tedeschi fosse riempito dai partigiani di Tito.
"Tutto questo
comportò un lavoro delicatissimo, senza risultati apparenti. Nessuno
voleva scoprirsi e soprattutto nessuno voleva impegnarsi in qualcosa di
positivo o negativo. Ed era un grosso guaio. Lenzi si appoggiò molto
al segretario federale Sambo, triestino, di sentimenti italiani, già
irredentista ed anche al capo della Provincia dott. Bruno Coceani. In certi
momenti sembrava che si potesse arrivare ad una soluzione ed in certi altri,
invece, Lenzi si trovò nella nebbia più completa. Tutti volevano
restare in attesa alla finestra, in una passività di azione deprimente".
"Il Com.te Lenzi
continuò per molto tempo la sua opera. Per potere penetrare meglio
in certi territori ed in certi ambienti, assunse generalità diverse
con falsi documenti, abiti civili, auto civili, sempre con targhe diverse.
Come un autentico agente segreto. Si spostò così mimetizzato
in varie zone dell'Istria, avendo i più disparati contatti, anche
con il pope serbo".
A seguito delle pressioni,
talora violente, di Sambo, il Gauleiter Reiner, nel tardo inverno 1944,
acconsentì alle richieste di Lenzi, che quindi informò il
com.te Borghese a Lonato che era ormai possibile il trasferimento dei due
Gruppi di artiglieria della Decima sulle alture dominanti le strade di
accesso a Trieste, per proteggere lo sbarco e l'avanzata del "San
Marco" del Sud.
"Borghese - concludevo
- aveva rispettato il "piano" di De Courten. Aveva posto i suoi
presidi, che avrebbero dovuto resistere sul posto il più a lungo
possibile, per dare modo ad un gruppo di combattimento del Sud di sbarcare
a Trieste, Portorose, Pola, Fiume, di farli prigionieri e contemporaneamente
di rilevarli, in difesa di quel lembo di Patria.
I presidi resistettero
il più a lungo possibile e, ad eccezione del "San Giusto"
a Trieste, furono massacrati sul posto, con perdita del 95% degli effettivi.
I marò prigionieri furono quasi tutti assassinati nell'isola di
Kurzola o nelle foibe e di essi non si seppe più nulla. Sono tra
i "desaparecidos" italiani.
Fino all'ultimo, il
com.te Lenzi credette nello sbarco, invocandone la realizzazione. Il messaggio
racchiuso nella bottiglia avvolta con un nastro tricolore, che Lenzi mi
affidò sulla banchina di Brioni al momento di partire con i due
SMA, per essere lanciato nelle acque d'Ancona il 13 aprile 1945, era un
ultimo messaggio disperato, scritto a nome delle genti giulie ed istriane,
che invocavano lo sbarco (questa volta delle FF.AA. anglo-americane vista
la grande delusione del "piano" De Courten) a tutela della loro
esistenza, contro le orde di Tito.
Questo è quanto
sapevo fino alla fine dell'aprile 1986. Nel successivo maggio, si sono
affacciati improvvisamente su questa storia nuovi protagonisti, sì
che necessita un completamento.
b) Lo sbarco visto dal Sud
Un giorno di maggio
1986 ho ricevuto una telefonata nella mia casa di Bologna.
"Sono il generale Mastragostino.
Ho letto il suo libro appena uscito. Ho bisogno di parlarle: può
venire domani alle 17 al Circolo della Caccia? - Ero io che dovevo sbarcare".
Il gen. Angelo Mastragostino
è un notissimo personaggio di Bologna.
All'indomani, al Circolo
della Caccia, il generale mi raccontò una storia sorprendente e
mi diede un altrettanto sorprendente documento, redatto in carta da bollo
da L. 16 in data 6 settembre 1945 ed autenticato in pari data dal notaio
Nicola Domenico Di Mauro a Bari, con firma legalizzata il 5 novembre 1945
dal Tribunale civile e penale di Bari.
Ecco il testo del documento:
- "Il presidente
generale della "Lega degli adriatici" di Bari e del Comitato
giuliano di liberazione dà atto che il tenente colonnello pilota
Angelo Mastragostino di Alessandro, da Mafaldi (Campobasso) Cl. 1904, comandò
il battaglione "Azzurro" di volontari arditi, avieri e fanti.
- Battaglione in approntamento per uno sbarco
per la liberazione della Venezia Giulia dal nazifascismo.
- Mastragostino, comandante egregio, battagliero,
italiano puro era pronto tutto ad osare.
- L'organizzazione clandestina era stata
suggerita oltre che dallo scrivente anche da altri in pieno accordo con
gli Alleati (fra cui il capitano comm. Alex Perkins 345 Fss e ten. vascello
Cav. Francis Zamber Marshall PSS).
- F.to dott. Demetrio di Demetrio"
(1)
Ed ecco il racconto di Mastragostino.
In data imprecisata
del 1944, l'allora t. colonnello fu avvicinato in Bari dal Presidente della
"Lega degli Adriatici" prof. Di Demetrio e da ufficiali dell'esercito
inglese e americano.
Con molta cautela gli
parlarono dell'idea di uno sbarco fra Trieste e Pola di truppe italiane,
trasportate da navi italiane. "La scusa della liberazione della
Venezia Giulia dal nazifascismo fu messa nel documento a fine guerra per
evidenti motivi di opportunità politica" - disse Mastragostino
- "Il fatto vero è che si voleva bloccare l'avanzata delle
truppe di Tito".
L'approccio sorprese
non poco l'ufficiale, che chiese il perché si fossero rivolti proprio
a lui, esperto solo in velivoli da caccia e la risposta degli ufficiali
alleati lo sorprese ancora di più. Poiché per concretizzare
l'idea di questa azione di sbarco era necessario creare una organizzazione
militare clandestina, composta di soli volontari e di sicura fede, non
solo italiana, ma anche anticomunista, fatta una cernita fra una rosa di
ufficiali attraverso informazioni su di essi fornite dal Servizio di Sicurezza
OSS, la scelta era caduta su Mastragostino "perché Marcia su
Roma Volontario Fiumano con D'Annunzio - Volontario di Spagna...".
Avrebbe dovuto andare
in giro per i vari aeroporti e scegliere uno ad uno, tra gli avieri (tutti
disoccupati), circa milletrecento/millecinquecento uomini disposti ad una
"azione di sorpresa non meglio definita e segreta".
"Ma perché
un’organizzazione così clandestina e segreta?" - volle
sapere Mastragostino.
"Il Governo
italiano non deve sapere assolutamente niente. Non ci fidiamo di loro.
Troppi comunisti, amici di Stalin ed in particolare di Tito. Anche elementi
dei governi americano ed inglese non debbono sapere nulla. Il Comando Alleato,
invece, sa ed appoggerà l'azione, ma non vuole, perché non
può, apparire in prima persona. Perciò, in caso di fallimento,
ignorerà tutto e vi lascerà in balia di voi stessi ".
Gli ufficiali alleati
ed il prof. Di Demetrio spiegarono poi a Mastragostino alcuni particolari
dell'organizzazione clandestina. Lui, come detto, avrebbe dovuto "rastrellare"
quei milletrecento/millecinquecento volontari tra i militari dell'Aeronautica.
Un altro ufficiale avrebbe dovuto fare
altrettanto tra i militari dell'Esercito. Un terzo ufficiale avrebbe dovuto
fare altrettanto, ma con più facilità, tra il personale della
R. Marina; "con più facilità - dissero - perché
il "San Marco" poteva essere utilizzato entro breve tempo, con
una forza di millecinquecento uomini". Il comando di questo Gruppo
era già stato affidato, con le medesime caratteristiche di segretezza
e di clandestinità, al capitano di corvetta M.O.V.M. Cigala-Fulgosi.
"Il più affidabile, perché aveva rifiutato di
arrendersi l'8 settembre, portando il suo C.T. Impetuoso alle Baleari".
Al momento opportuno, i tre Gruppi, creati
all'insaputa l'uno dell'altro, sarebbero stati riuniti sotto il comando
di Mastragostino.
" Un giorno
mi dissero che il piano era annullato. Probabilmente perché la notizia
era filtrata dove non doveva filtrare. Non so altro". - Così
terminò Mastragostino.
Il c.c. Cigala-Fulgosi,
naturalmente, aveva messo al corrente di tutto, con la massima segretezza,
il Ministro della Marina amm. De Courten, perché ottenesse dagli
Alleati la disponibilità delle navi italiane da utilizzare per il
trasporto dei circa cinquemila uomini previsti dal "piano".
Sempre nel mio libro
citato (2a edizione, pubblicata "dopo Mastragostino") scrivevo:
"Questo "piano"
(Piano De Courten n.d.a.) era stato portato a conoscenza di Borghese. Chi
portò a Borghese il "piano De Courten""?
"Questo fa parte
di quei rapporti Sud-Nord che rimarranno segreti fino a quando la Marina
non aprirà i propri archivi riservati, ammesso sempre che di questi
rapporti esista ancora traccia".
Come ipotesi, facevo i nomi del t.v. Rodolfo
Ceccacci e del serg. a.u. Aldo Bertucci, appartenenti al Btg. Vega - N.P.
della X Flottiglia MAS, che avevano varcato le linee per recarsi a Taranto,
ricevendo visite da parte di alcuni prestigiosi esponenti dell'antica X
Flottiglia MAS e forse, del c.c. Cigala-Fulgosi, probabilmente il trait-d'union
tra De Courten e Borghese, proprio l'ufficiale indicato da Mastragostino.
Così scrivevo
nel 1986. E così chiarivo, sull'onda del racconto di Mastragostino
e di un libro contemporaneamente apparso nelle librerie internazionali
e recensito in Italia sui maggiori quotidiani.
"Possiamo però
aprire uno squarcio su questo involucro tuttora impenetrabile, nella speranza
che un De Felice od un altro autentico storico della sua forza possa penetrare
negli archivi e fare parlare i muti.
Il "piano De Courten"
era un piano riservatissimo e "top secret". Di esso non ne era
informato alcun membro del Governo, né alcun comando militare italiano.
In verità, esso
era stato elaborato dal Comando in Capo della 8a Armata britannica, che
aveva in animo di effettuare uno sbarco in grande stile nell'Alto Adriatico,
per tentare di sfruttare i valichi verso l'Austria e la Cecoslovacchia,
probabilmente in esecuzione di un piano di più ampio respiro del
maresciallo Montgomery, che, come Patton e Bradley, ma in aperto contrasto
con Eisenhower, voleva arrivare a Berlino ed a Praga prima dei russi (di
questo parla ampiamente lo storico inglese Nigel Hamilton nella sua biografia
del maresciallo Montgomery)".
Le ipotesi di alta
strategia e politica (rafforzate purtuttavia dall'ultrasegretissimo convegno
di Montecolino sul lago d'Iseo del novembre 1944) esulano però dal
tema proposto, che vuole solo far luce sul "piano De Courten".
Fino al 1986 ero quindi
a conoscenza dei fatti sopra elencati:
1) L'esistenza di un piano per sbarcare
in Istria od in Venezia Giulia reparti italiani del Sud su navi italiane;
e questo per conoscenza diretta; piano da Borghese e Lenzi chiamato "piano
De Courten";
2) L'esistenza (appreso solo nel 1986)
di una organizzazione militare clandestina nella Puglia, denominata "Battaglione
Azzurro", facente capo ad una organizzazione civile non clandestina
denominata "Lega degli adriatici", supportata segretamente dalle
FF.AA. Alleate; e questo in base al racconto del comandante il "Battaglione
Azzurro", generale Mastragostino; di questa organizzazione faceva
parte anche la M.O.V.M. Antonio Marceglia, affondatore della nave da battaglia
"Queen Elizabeth" ad Alessandria;
3) l'esistenza, in questo "Battaglione
Azzurro", del com.te M.O.V.M. Cigala-Fulgosi, incaricato del reclutamento
dei marinai e dell'organizzazione delle navi necessarie.
Il collegamento, seppure
ignoto a Mastragostino, con l'amm. De Courten da parte di Cigala-Fulgosi
era inevitabile e consequenziale.
A completare il mosaico
mancavano però due testimonianze dirette, tasselli fondamentali:
la testimonianza di De Courten e la testimonianza degli archivi alleati.
Mentre questi ultimi
probabilmente rimarranno ermeticamente chiusi, in quanto i fatti coinvolgerebbero
politici e militari ad alto livello; o, forse sono stati già da
tempo svuotati su questi fatti (ricordiamo le parole degli ufficiali Alleati
a Mastragostino: "il Comando Alleato ignorerà tutto in caso
di fallimento dell'operazione"), sono apparse nel 1993 le "Memorie"
di De Courten ad opera dell'Ufficio Storico della Marina Militare. E la
sorpresa non è stata piccola.
Quello che interessa
il nostro argomento è contenuto essenzialmente nel Cap. XXVI "Trieste
e la Venezia Giulia" e la sorpresa sta nell'apprendere che l'Amm.
De Courten era solo una pedina in quella organizzazione, di cui "sembra"
che ne conoscesse appena l'esistenza, come "sembra" che non conoscesse
affatto la presenza e l'iniziativa determinanti del Comando delle FF.AA.
Alleate nella vicenda.
Una sua tranquilla
confessione può anche indurre a sospettare che l'annullamento del
"piano" sia dovuto "anche" a lui. Il "piano"
era della massima segretezza ed il Comando Alleato doveva fingere di non
saperne nulla. Invece, De Courten ne parlò all'amm. Morgan. Naturalmente
nella massima segretezza. La frittata era fatta.
Leggiamo cosa scrive
l'amm. De Courten, con riserva di fare alcuni commenti.
"Nel luglio del
1944, poco dopo la liberazione di Roma, il Reparto Informazioni (c.v. Calosi
- n.d.a.) mi comunicò alcune notizie raccolte presso profughi giuliani,
residenti nelle Puglie, i quali erano instancabili nel mantenere contatti
con le loro genti, dovunque esse si trovassero, e nel raccogliere informazioni
relative alla Venezia Giulia.
Secondo queste segnalazioni,
gli Alleati, in vista della sempre più evidente tendenza degli iugoslavi
a creare alle frontiere orientali una situazione di fatto suscettibile
di giustificare, al termine del conflitto, le loro pretese all'attribuzione
del territorio nazionale fino all'Isonzo non avrebbero visto di malocchio
un'azione militare italiana che, al momento del crollo tedesco, precedesse
quella iugoslava nell'occupazione della Venezia Giulia".
"In considerazione
del grande interesse di questi presunti orientamenti, incaricai il comandante
Calosi di approfondirne la fondatezza.
"Egli si mise
in contatto, non solo con i profughi, ma anche con gli ufficiali posti
alla direzione dei servizi informativi britannici presso le diverse autorità
militari e navali, con le quali avevamo rapporti di collaborazione. Si
constatò così che effettivamente esisteva una simile tendenza
alleata, per lo meno nella sfera degli ambienti interpellati. In seguito
fu possibile abbozzare il progetto schematico di un tempestivo sbarco di
reparti della Marina e dell'Aeronautica (Reggimento "San Marco"
e Battaglione "Azzurro" A.A.) nelle vicinanze di Trieste, dove
queste truppe avrebbero dovuto essere trasportate da mezzi navali italiani:
l'operazione sarebbe stata effettuata sotto l'esclusiva responsabilità
del Comando Italiano, mentre gli Alleati avrebbero dovuto fingere di ignorarla"
.
E’ una totale conferma
di quanto il com.te Borghese, il com.te Lenzi, io e qualcun altro sapevamo,
quasi "in contemporanea", al Nord, di quanto scrissi nel 1986;
di quanto mi rivelò e documentò Mastragostino.
Anche De Courten ignorava
l'esistenza di un reparto dell'esercito, probabilmente perché mai
costituito per la sua inaffidabilità dopo la "prova" offerta
all'8 settembre.
Dopo avere così
annunciato lo schema del "piano De Courten", in base al quale
ci muovemmo al Nord e si mossero il "S. Marco" ed il Battaglione
Azzurro di Mastragostino al Sud, ecco De Courten avanzare i primi dubbi
ed iniziare la ritirata, ancora una volta senza avvertire i diretti interessati:
Borghese e la "Lega degli Adriatici", di cui pare addirittura
ignorare l'esistenza.
Prosegue infatti così.
"Pur rendendomi
conto dei movimenti di queste modalità, intese a non compromettere
gli Alleati agli occhi delle formazioni iugoslave, che nei Balcani stavano
contribuendo alla guerra contro la Germania, rimasi perplesso sulla reale
consistenza di questi approcci e sulle forme nelle quali l'operazione era
concepita.
Ai primi di settembre
del 1944, in occasione di colloqui più impegnativi con rappresentanti
qualificati Intelligence Service, il comandante Cigala-Fulgosi M.O. ebbe
l'incarico di mettere in rilievo i seguenti punti di vista della Marina:
1) la questione della Venezia Giulia,
che sta tanto a cuore a tutti gli italiani, è particolarmente sentita
dalla Marina, che è disposta a fare qualunque sforzo e sacrificio
per un suo favorevole sviluppo.
2) La Marina, al pari delle altre Forze
Armate italiane, da molti mesi non chiede agli Alleati che di agire, in
qualunque settore: anche per questa ragione un'operazione nella Venezia
Giulia, affidata alla Marina, sarebbe oltremodo desiderata.
3) La Marina ha sempre lealmente e scrupolosamente
adempiuto gli obblighi armistiziali, né intende allontanarsi da
questa direttiva: in conseguenza, pur essendo disposta a lasciare apparire
che essa agisca di propria iniziativa, non vuole fare nulla che possa
essere considerato violazione dell'armistizio e desidera quindi ricevere
formale autorizzazione all 'operazione, sia pure sotto il vincolo della
segretezza.
4) D'altra parte mezzi e truppe italiani
sono impiegati ed a disposizione dei Comandi Alleati, navali e terrestri,
i quali dovrebbero ovviamente lasciare libere le forze destinate all'operazione
per il trasferimento nei punti di addestramento, concentramento e partenza;
questo a prescindere dalla necessaria cooperazione per la scorta aerea
ai convogli e dalla non meno indispensabile sincronizzazione dello sbarco
con le azioni svolte all'occupazione via terra della Venezia Giulia".
Le osservazioni affidate a Cigala-Fulgosi
appaiono ineccepibili, ma sono equivalenti al dire agli ufficiali dell'OSS
e dell’Intelligence Service: "non ci stiamo".
Pretendere dagli Alleati
un ordine scritto, seppure segreto, su di un'operazione definita "clandestina"
è un modo elegante per sganciarsi da qualsiasi responsabilità
e rischio, dato anche che in Italia la segretezza non è mai stata
di moda.
"Il 7 settembre 1944 conferii a Taranto
su questo argomento con l'ammiraglio Morgan, esponendogli quanto era a
mia conoscenza e chiedendo la sua collaborazione per ottenere che mezzi
da sbarco moderni fossero posti a nostra disposizione.
Gli manifestai il mio desiderio che egli
ricevesse il comandante Cigala-Fulgosi, dal quale egli ebbe infatti dettagliate
delucidazioni sulla consistenza e sull'organizzazione del Reggimento "San
Marco", nonché sull'entità dei mezzi navali disponibili
e di quelli occorrenti".
De Courten continua
ad ignorare Mastragostino ed il Battaglione Azzurro. Evidentemente li ignora,
proprio perché Cigala-Fulgosi mantiene con lui quell'autentico rapporto
di segretezza di cui ha parlato Mastragostino.
De Courten deve essere utilizzato solo
per procurare i mezzi navali di trasporto e sbarco e Cigala-Fulgosi, davanti
a De Courten, illustra a Morgan solo il "San Marco", di cui dovrebbe
assumere il comando secondo i piani dell'OSS.
Dal racconto, non sembra che Morgan sia
rimasto molto entusiasta, probabilmente perché già al corrente
dell'operazione "clandestina", di cui lui non avrebbe dovuto
sapere niente e invece se la vede spiegare in lungo ed in largo dal Ministro
della Marina in persona, minacciando di comprometterlo. Ed infatti...
"L'ammiraglio
Morgan, da me ripetutamente interpellato per conoscere gli ulteriori sviluppi
della questione, mi diede risposte sempre più vaghe ed evasive,
dalle quali dedussi che il problema, portato nelle sfere più elevate
ed aventi autorità determinante, aveva incontrato, se non aperta
ripulsa perlomeno accoglienza riservata e dilatoria, il che non era promettente".
Insomma, De Courten non aveva capito (o
non aveva voluto capire?) che un'operazione "clandestina" doveva
essere "clandestina" in tutti i sensi e non un altro sbarco di
Normandia e che i Comandi Alleati ufficialmente non ne dovevano sapere
niente, mentre lui "ripetutamente" li interpella, "fino
nelle sfere più elevate".
Ma un'altra ipotesi
può affacciarsi. Ho avuto De Courten come ammiraglio comandante
la VII Divisione quando ero imbarcato nell'Incrociatore "R. Montecuccoli".
L'ho conosciuto e di lui ho sentito parlare in diverse occasioni. Era un
uomo di grande intelligenza, un comandante estremamente preparato e di
grande prestigio, con un carattere deciso, quasi teutonico (nelle sue vene
scorreva sangue tedesco), ma anche dotato di notevole diplomazia. Esaminando
attentamente i quattro punti affidati a Cigala-Fulgosi, può essere
affermato che, in essi, è più il diplomatico a parlare che
l’ammiraglio.
Infatti:
1) Dal Reparto Informazioni ha appreso
che "gli Alleati... non avrebbero visto di malocchio un'azione militare
italiana..."; quindi, l'idea dello sbarco di truppe italiane con navi
italiane, da eseguire clandestinamente e, ufficialmente, all'insaputa del
Comando Alleato, era degli Alleati.
2) Quello sbarco rientrava quindi negli
interessi degli Alleati, che, però, non volevano lasciare le dita
nella marmellata e chiedevano che le lasciassero i soliti italiani con
le solite capriole.
Ed allora De Courten manda a dire, in
sintesi, all'Intelligence Service:
a) che la questione della Venezia Giulia
(ma perché non anche dell'Istria?) gli sta tanto a cuore;
b) che è da tanto tempo che la
R. Marina pungola gli Alleati a muoversi e che la stessa R. Marina desidererebbe
partecipare all'operazione per la Venezia Giulia;
c) che però non può parteciparvi,
in quanto obbligata dalle clausole dell'armistizio, per cui "non vuole
far nulla che possa essere considerato violazione dell'armistizio";
d) che però, se proprio lo vogliono,
gli Alleati debbono fornire a lui "formale autorizzazione all'operazione".
E’ una risposta da maestro della diplomazia,
equivalente ad un "arrangiatevi" più consono alla personalità
dell'ammiraglio. Occorre infine mettere l'accento sul fatto che De Courten,
pure con l’ltalia da tempo in stato di "cobelligeranza", agli
Inglesi rammenta solo le durissime clausole dell'armistizio. Un autentico
irrigidimento nei loro confronti.
Comunque, qualsiasi interpretazione si
possa dare, è da quel momento che inizia la fine del "piano
De Courten", la fine dell'organizzazione clandestina, dei Battaglione
Azzurro, la fine delle speranze degli esuli istriani.
Prosegue De Courten.
"D'altro canto
nel frattempo il Reggimento "San Marco", incorporato nella Divisione
"Folgore", aveva preso posizione sui fronti di combattimento
in forma tale da non rendere agevole un suo ritiro per altri scopi".
L'ammiraglio continua
ad ignorare l'esistenza del Battaglione Azzurro, del ten. col. Mastragostino,
della Lega degli Adriatici, ma soprattutto punta tutto il suo ragionamento
in merito all'abbandono del "piano" sulla mancata disponibilità
del "San Marco". Non una parola sugli "N.P." che pure,
sebbene solo per via terra, arrivarono per primi a Venezia per puntare
subito su Trieste, dopo il frenetico abbraccio con gli "N.P."
della X Flottiglia MAS. (Se erano arrivati per primi via terra, non
sarebbero arrivati ancor prima via mare?)
"L'incontro avvenuto
il 27 febbraio 1945 a Belgrado tra il generale Alexander e Tito, a seguito
di quello precedente di Bolsena del luglio 1944, diede ben presto la sensazione
che fossero stati stabiliti accordi militari ben definiti sulla prosecuzione
delle operazioni contro la Germania e sulle relative contropartite. In
realtà quel periodo segnò la fine di ogni speranza che gli
Alleati intendessero fiancheggiare e facilitare un'azione autonoma italiana
di sbarco a Trieste, la quale sarebbe stata della massima importanza per
il futuro della Venezia Giulia".
Insomma, De Courten
gioca in difesa ed incolpa gli Alleati in generale (ed Alexander unitamente
a Tito in particolare) del fallimento del "piano" che, per noi
del Nord, portava il suo nome, continuando a sorvolare sul fatto fondamentale
che Tito non avrebbe dovuto sapere niente ed avrebbe dovuto trovarsi di
fronte al fatto compiuto, con il territorio cui aspirava (fino all'Isonzo
e al Tagliamento) ben presidiato dai 5.000 uomini venuti dal Sud, mentre
Alexander avrebbe dovuto semplicemente cadere dalle nuvole, (rinforzando
nel contempo quella testa di sbarco).
A questo punto potrei
scrivere la parola fine sull'argomento del "piano De Courten",
ma De Courten non me lo permette, perché torna sulla Venezia Giulia,
ma in modo inaspettato, anche se ben conosciuto e pubblicizzato sia da
Borghese, che da Ricciotti Lazzero (X Flottiglia MAS - Ed. Rizzoli) e da
me nel citato libro.
"Nel frattempo,
peraltro, si stava delineando un’altra possibilità, suscettibile
di arrivare a concrete realizzazioni ai fini sempre presenti nella mia
mente".
Quale era questa possibilità'?
L'invio "nell'ltalia del Nord" di missioni con l'intento di prendere
contatto con l'Ammiraglio Sparzani, Sottosegretario di Stato della Marina
Repubblicana della R.S.I. e con il com.te Borghese, Capo di Stato Maggiore
Operativo, nonché comandante la X Flottiglia MAS. Scopi? Difesa
delle industrie del Nord. Difesa dell'italianità di Trieste.
De Courten riporta brani delle relazioni
del t.v. Zanardi, parla delle M.O.V.M. Marceglia e dell'lng.Giorgis e dei
loro appunti. Ma si tratta sempre della difesa dell'italianità dell'Istria,
del Friuli e della Venezia Giulia. Nulla che interessi uno sbarco di truppe
italiane del Sud.
"L'azione di difesa
della Venezia Giulia fu praticamente nulla" conclude De Courten.
Ha ragione. A nulla
è valsa la morte di centinaia, di migliaia di ragazzi, alpini del
"Tagliamento", bersaglieri del "Mussolini" e del "Mameli",
marinai della "X Flottiglia MAS", "CC.NN." di Libero
Sauro, caduti sui monti del Friuli, sul San Gabriele, sul San Michele,
nell'Ortigara, nella Selva di Tarnova, scomparsi nelle foibe istriane,
a Lussinpiccolo, Cherso, a Kurzola, a Pola, Lanzana, Fiume, nelle profondità
dell'Adriatico.
Erano più importanti
le "contropartite" freddamente e cinicamente trattate
come merce di scambio tra Alexander e Tito.
Che poteva fare De Courten, povero ammiraglio
di una Italia sconfitta? - Cosa poteva ottenere il "piano De Courten"?.
"L'azione di difesa della Venezia
Giulia fu praticamente nulla".
Ma da parte di chi?
NOTA
(1) Per ragioni di spazio non pubblichiamo
l'originale del documento riferendo tuttavia il contenuto. Il documento
potrà essere richiesto in fotocopia da eventuali interessati.
STORIA VERITA' N. 22 Luglio-Agosto
1995 (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)